QUAL È IL CANDIDATO VINCENTE?

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14 Mag QUAL È IL CANDIDATO VINCENTE?

Ho affrontato più volte in precedenti articoli il tema della campagna elettorale, del marketing politico e delle caratteristiche che dovrebbe possedere un candidato.

Oggi vorrei, però, fare un passo indietro. Nella mia città, tra qualche mese, ci saranno le elezioni amministrative e tante volte mi sono confrontato con i miei concittadini sulle opzioni possibili.

Per questo motivo ho deciso di proporre una mia riflessione su questo tema: come si individua un candidato sindaco ideale, in grado, cioè, non soltanto di competere, ma di vincere?
Senza entrare nel merito dei contenuti, ma analizzando solo dal punto di vista tecnico.

Anzitutto, la normativa attuale, che fa riferimento all’art.71 del TUEL, distingue il sistema elettorale per l’elezione del sindaco tra comuni con meno o più di 15.000 abitanti.

Nella prima ipotesi vincere è relativamente più semplice. Basta ottenere un voto in più dei concorrenti.
Non è previsto un secondo turno, a meno che non ci sia assoluta parità di voti tra i candidati.

Nella seconda ipotesi, in comuni con più di 15.000 abitanti, il tema si fa più complicato.

E’ proclamato sindaco, al primo turno, il candidato alla carica che ottiene la maggioranza assoluta dei voti validi.

In caso contrario, si va al secondo turno con i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti e vince chi ottiene più voti dell’altro.

Cosa significa ciò?

Significa che se un candidato ha l’obiettivo di puntare realmente l’obiettivo finale e non si accontenta di competere per un qualsiasi risultato si riesca a portare a casa, dovrebbe fare alcune riflessioni.

1. A meno che non si rappresenti un “brand” vincente a prescindere – come è stato per il Movimento Cinque Stelle cinque anni fa nella mia città, che è riuscito da una parte a catalizzare il voto di una larga parte di elettori storicamente appartenenti ad altre aree politiche, dall’altra a sfruttare la disaffezione dell’elettorato al partito che storicamente aveva governato la città, peraltro già indebolito da divisioni interne – correre con una sola lista è perdente in partenza.
2. Sulla traccia del punto precedente, rappresentare un partito politico schierato apertamente agli estremi, è una scelta che, a mio avviso, non può essere vincente, in quanto, ammesso che si riesca ad arrivare al ballottaggio, non si riuscirà a catalizzare l’attenzione di una parte di elettorato troppo ampia. Allo stato attuale le ideologie dichiarate faticano a trovare un consenso trasversale a prescindere.
3. A qualsiasi livello emerge la necessità di sapersi rivolgere ad una platea moderata e liberale, che attualmente rappresenta la maggior parte dell’elettorato.

Detto ciò, qual è l’identikit di un candidato che può aspirare realmente a diventare sindaco?

Partiamo da alcuni presupposti.

I numeri sono un indicatore fondamentale. Vince chi riesce ad ottenere più voti. Diventa prioritario aggregarsi in poli o coalizioni che rappresentino più elettori.

Ma anche qui bisogna fare attenzione ai perimetri. Se la coalizione comprende partiti estremisti, questa non potrà allargarsi ad estremismi di segno contrario, o così percepiti dagli elettori, in quando si rischierebbe di perdere entrambe le “ali”.

La coalizione può comprendere partiti estremisti, ma il perimetro non può andare oltre i partiti moderati che possono condividere almeno in parte valore e ideali dei primi.

In tal caso, però, è sconsigliato che a rappresentare la coalizione ci sia un candidato appartenente ad un partito estremista, in quanto, mentre l’elettorato che fa riferimento a questo può accettare un candidato più moderato – che si impegni a portare avanti contenuti cari a quest’area – con più difficoltà, invece, un elettorato moderato accetta di farsi rappresentare da un candidato estremista.

E questa valutazione è rafforzata dal fatto che, se si presume di non avere i numeri per sfondare al primo turno, al ballottaggio sarà fondamentale che il candidato sindaco sia ancora più rappresentativo e trasversale, capace cioè di risultare gradito, per un qualsiasi motivo, anche ad un elettorato moderato ma tendente al segno opposto o, paradossalmente, anche a quegli elettori palesemente di segno opposto ma che non si riconoscono nel loro candidato.

E in riferimento a quest’ultimo punto, è fondamentale che un candidato sia coerente con le sue scelte, non confonda i suoi elettori o quelli ai quali, attraverso una coalizione, si propone di arrivare con la sua proposta.

Da ultimo vorrei fare riferimento ad uno strumento che da più di vent’anni, ormai, viene utilizzato per individuare un candidato gradito: le primarie.

Premesso che negli ultimi vent’anni sono cambiate tante cose – soprattutto perché si sono smorzati gli estremismi e le appartenenze ideologiche – nel caso di elezioni comunali questo strumento, a mio avviso, non è applicabile o, comunque, non è in grado di restituire un risultato attendibile.

Nel caso di un partito politico, che si rivolge ai suoi elettori, le primarie possono essere ancora uno strumento accettabile. Ma in una coalizione che per poter essere rappresentativa ha bisogno di allargare il perimetro, le primarie non hanno senso.

Anzitutto perché un candidato più “estremo” porta i suoi elettori ad esprimersi in maniera pressoché totale, in quanto è naturale attivarsi per ottenere un risultato favorevole per supportare il proprio candidato, mentre invece un elettorato moderato, per sua natura, mal si coniuga con questo tipo di esperienze e difficilmente partecipa.

Quindi avremmo un risultato non realmente autentico e rappresentativo.

Ma soprattutto perché in un ipotetico ma probabile secondo turno, le valutazioni da fare sarebbero altre e una consultazione interna non avrebbe alcuna utilità, in questo senso.

Diventa, però, fondamentale, un patto di reciproco riconoscimento, tra le liste di uno schieramento, in quanto chiunque sia il candidato che venga scelto come il più rappresentativo in senso trasversale, questi dovrà poter contare sul supporto di tutte le componenti della coalizione, con generoso accantonamento delle (pur comprensibili) velleità individuali.

In caso contrario, a mio avviso, sarebbe meglio rinunciare dal principio a quelle frange che non accettano di essere funzionali a un obiettivo comune e vincente.

Riusciranno le forze in campo, da qualsiasi parte provengano, a trovare la persona giusta per la città?
E quello che tutti, a prescindere dal credo politico, auspicano.

 

Massimo Fadda

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